In uno spazio
permeato da vacuità e fissità, il corpo muto di una donna, avvilito,
mortificato e umiliato, si spoglia lentamente dell’ingombrante abito del
pregiudizio. Sulla soglia che separa la coscienza individuale da quella
collettiva, si prefigura uno spazio ulteriore: un luogo della mente e
dell’anima che diventa nella forza del pensiero l’opportunità del riscatto del
ruolo di genere, così rigido e ancora drammaticamente sospeso nella dicotomia,
che come un marchio indelebile accompagna lo status femminile, fra santa e
puttana. Nell’atto catartico delle lesioni psichiche e sociali, ferite
invisibili che le donne si portano dentro come un fardello, accompagnato da
rallentate movenze, a tratti nervose e sincopate, la protagonista di stigmata, ritrova nella sua originale
nudità la propria dimensione naturale, conducendo progressivamente l’individuo,
spettatore e partecipe dell’evento, a una sorta di rivelazione/redenzione che
trova il suo più profondo significato nello stato di unione che si crea nella condivisione
della sofferenza.
Attinia,
artista intensa e riflessiva, in punta di piedi ma solida nel suo pensiero,
tocca il delicato argomento della sessualità, dell’emancipazione e
dell’autodeterminazione femminile. Tutt’altro che un tema scontato e superato,
è affrontato dall’artista nella consapevolezza che ogni singolo dramma è il
dramma di tutte e che ogni etichetta, laddove è data, è socialmente intesa
quale rappresentazione della dignità di tutte.
Maria Letizia Paiato